A distanza di 11 anni dalla cattura e uccisione di Moamma Gheddafi, la Libia continua la sua ricerca di una disperata stabilizzazione politica, economica e sociale. Lo stallo tra i due esecutivi – il Governo di unita nazionale (Gnu) di Abdulhamid Dbeibah e il Governo di stabilità nazionale (Gns) di Fathi Bashagha –, così come l’influenza delle varie milizie e tribù all’interno delle principali istituzioni, non permettono un avanzamento nel processo politico. A ciò si aggiunge l’ombra dei diversi attori stranieri interessati al dossier libico: un’ascendenza ancora oggi forte e presente.
Pochi giorni fa, il presidente della Camera dei Rappresentanti (HoR), Aguila Saleh, e il capo dell’Alto Consiglio di Stato (Hcs), Khaled al-Mishri, si sono incontrati in Marocco, a Rabat, col fine di rilanciare il dialogo tra le fazioni rivali e trovare una soluzione all’infinita disputa che non permette un avanzamento verso la fine della crisi. L’incontro tra i due capi degli organi legislativi si è concluso con un accordo per l’attuazione del processo che dovrà concludersi con l’unificazione dell’esecutivo e la sostituzione degli attuali uomini al vertice delle principali istituzioni economiche e politiche oggi presenti nel paese nordafricano entro gennaio 2023. Un processo che nasce dall’intesa raggiunta nell’ottobre del 2020 dopo i dialoghi intralibici che si svolsero sempre in Marocco, nella città di Bouznika. Come detto, il meccanismo prevede nuove nomine per le posizioni dirigenziali nelle istituzioni sovrane dello Stato, tra cui il governatore della Banca centrale libica, il presidente dell’Ufficio di audit e il capo dell’Autorità di controllo amministrativo. Di pari passo, le due parti hanno concordato sulla necessità di garantire, il prima possibile, l’unificazione del governo centrale, rilanciando il dialogo per un accordo sullo svolgimento delle elezioni parlamentari e presidenziali. Tuttavia, da Tripoli è arrivata l’immediata risposta di Dbeibah all’accordo “marocchino”. Sul suo profilo Twitter, il misuratino a capo dell’esecutivo dal marzo 2021, ha respinto l’intesa tra Saleh e al-Mishri etichettandola come un nuovo tentativo di creare un binario parallelo a quello che è la via da seguire per la risoluzione, ovvero lo svolgimento delle elezioni.
Nel frattempo, l’attività della missione delle Nazioni Unite (Unsmil), entrata in una nuova fase con la nomina del nuovo Consigliere speciale, il senegalese Abdoulay Bathly, continua con gli incontri dei diversi attori libici. Negli ultimi giorni, il diplomatico onusiano ha incontrato infatti i leader della fazione orientale: il feldmaresciallo e comandante dell’Esercito nazionale libico (Lna), Khalifa Haftar, e il capo del Gns Bashagha. Nel primo caso si è sottolineata la criticità di preservare l’accordo di cessate il fuoco e unificare le istituzioni militari e di sicurezza del paese. In tal senso rientra anche l’incontro di Bathly con i membri della Commissione militare congiunta per l’Est. Nel secondo caso, invece, il colloquio ha avuto come focus la necessaria unificazione e condivisione degli obiettivi al fine di facilitare il superamento dell’impasse in cui è caduta la Libia. Eppure, tutto questo è un ripetersi degli eventi che hanno coinvolto l’Onu nel recente passato della storia libica. La comunità internazionale da anni è al lavoro per cercare di ricomporre il frammentato quadro libico, di costruire stabilità, di promuovere iniziative di distensione. I risultati dei processi e di questi sforzi faticano ad arrivare. E l’organizzazione internazionale sembra essere il primo soggetto ad essere in difficoltà. Come già detto in altre occasioni, il problema onusiano è stato quello di impostare l’intero processo sulle elezioni, tralasciando sicurezza, stabilità e condizioni socio-politiche necessarie per permettere ai libici di recarsi alle urne.
L’uomo forte della Cirenaica, Haftar, sembra abbia imparato qualcosa dal fallimento della missione militare lanciata nel 2019 per la conquista di Tripoli. Infatti, nonostante il suo viaggio in Fezzan dove ha esortato i capi notabili e delle tribù a insorgere “pacificamente” contro l’attuale stato delle cose, il feldmaresciallo appare molto più propenso al dialogo e all’uso della carta politica per raggiungere i suoi obiettivi. Certo, il fallito tentativo di Bashagha di entrare con la forza nella capitale e spodestare il rivale del Gnu ha chiarito che la conquista del potere non è un affare così semplice da realizzare. Dbeibah, infatti, ha rafforzato la sua posizione proprio all’indomani degli ultimi scontri a Tripoli e la sua rimozione nel breve periodo sarà complicata. I calcoli sbagliati di Bashagha hanno permesso un consolidamento del premier del Gnu anche con i partiti regionali e internazionali – anche per la sua disponibilità al dialogo – che hanno interessi negli affari libici. Tuttavia, le difficoltà per Dbeibah restano numerose.
L’influenza dall’esterno è, infatti, ancora troppo determinante sul panorama dell’ex colonia italiana. I due poli regionali restano Ankara e il Cario. Nonostante il canale con Tripoli sia aperto, il sostegno dell’Egitto ad Hafar e Saleh – e di conseguenza a Bashagha – è ancora forte e concreto. Lo dimostra lo “schiaffo diplomatico” egiziano al Gnu durante la riunione ministeriale della Lega araba lo scorso 6 settembre, quando il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha lasciato l’aula all’inizio dei lavori presieduti dalla sua omologa del Gnu, Najla al-Mangush, perché nella visione cairota l’esecutivo tripolino non gode di legittimità popolare e il suo mandato è scaduto con il fallimento delle elezioni in programma il 24 dicembre 2021. La politica del Cairo nei confronti del paese limitrofo è guidata da molteplici interessi, che vanno dalle pressanti preoccupazioni in termini di sicurezza a considerazioni di tipo economico, passando per questioni politiche e ideologiche. Tutto ciò spiega le contraddizioni egiziane sul dossier libico in questi ultimi anni: se, da una parte, è stato sempre promosso il dialogo politico, dall’altra, il sostegno alla fazione orientale non è stato mai messo in discussione né tantomeno nascosto.
Anche la Turchia non maschera il suo appoggio alla parte occidentale libica. Con l’ultimo Memorandum of understanding (MoU) firmato i primi giorni di ottobre, Ankara e Tripoli hanno, nuovamente, sottolineato l’intento di rafforzare la cooperazione, in particolar modo nel settore energetico. I due paesi si sono impegnati, infatti, a sviluppare la cooperazione scientifica, tecnica, tecnologica, giuridica, amministrativa e commerciale bilaterale in terra e mare nel campo degli idrocarburi. Inoltre, sono state intraprese iniziative per rafforzare la collaborazione nei settori della difesa, del commercio e delle comunicazioni durante la visita del ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, del ministro dell’Energia e delle risorse naturali Fatih Donmez, del ministro della Difesa nazionale Hulusi Akar, del ministro del Commercio Mehmet Mus, del direttore delle comunicazioni Fahrettin Altun e del portavoce presidenziale Ibrahim Kalin. Per quanto riguarda il Mou sugli idrocarburi, in base all’accordo, si potranno svolgere esplorazioni nel quadro dei confini marittimi disegnati dai due partner. L’accordo arriva in una fase successiva a quella che aveva visto la firma un precedente protocollo d’intesa, nel 2019, che aveva segnato la demarcazione marittima tra i due paesi nel Mediterraneo, ponendo anche le basi per una maggiore sicurezza e cooperazione militare. Con gli ultimi accordi, le misure contenute in questi memorandum sono ora entrate nella fase di attuazione. Così come nel 2019, il nuovo documento ha allarmato i principali attori regionali, in primis Egitto e Grecia, che hanno da subito messo in discussione la legittimità dell’atto turco-libico. Anche sul fronte interno, la reazione della fazione rivale del Gnu di Dbeibah non si è fatta attendere. Sia Saleh che Bashagha hanno respinto l’accordo con la Turchia. Il primo, che da tempo sostiene che il mandato del governo con sede a Tripoli sia scaduto, ha definito l’accordo “illegale e inaccettabile”, mentre il secondo ha minacciato di ricorrere a “mezzi legali” per annullare l’intesa.
In conclusione, gli ultimi eventi ci dimostrano, ancora una volta, come la distanza tra i diversi attori presenti sul palcoscenico libico sia ancora profonda. L’unificazione istituzionale, concordata a Rabat, appare essere ad oggi un miraggio e un obiettivo troppo ambizioso, così come i MoU firmati da Tripoli non fanno che destabilizzare ulteriormente il contesto regionale. In tal senso, la volontà di voler porre scadenze, come a voler dimostrare un’autorità sul campo, e, al contempo, concedere iniziative a partner regionali in cambio di sostegno militare non permettono quel dialogo nazionale fondamentale ai fini della stabilizzazione definitiva del paese. In primo piano restano quindi potere, controllo e tutela degli interessi, mentre la Libia e i libici devono subire questo “gioco” che dura ormai da oltre un decennio.
Mario Savina
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